Nell’ultimo spezzone di Web italiano abbiamo visto scontri verbali e prese di posizione verso questo o quell’altro influencer che sembra più di stare in un ring di wrestling. Non ci siamo fatti mancare neanche l’animosità (pur stantia) verso la fashion blogger, rea di essere salita in cattedra – letteralmente e per ben due volte – ad Harvard e non di essersi limitata alle passerelle.
Il punto di vista di questo umile commentatore, amici (poco, a giudicare da certe invidie) sportivi?
La Rete, per puro fine di entertainment, è sempre più WWE che WWW e l’Insalata Bionda come l’oro ha fatto quasi un favore a scendere dall’aureo olimpo del fashion per portare il nuovo modello economico fra i polverosi sepolcri della conoscenza di un mondo antico.
Le gimmick dell’Internet e il favore del pubblico
Continuando la metafora in mutandoni, il Web sta diventando sempre più il wrestling poiché si sta lanciando nella stessa direzione: come il secondo è diventato un business che affonda le radici nell’antica arte della lotta greco-romana, così la Rete, dall’agognato modello della biblioteca di Alessandria sta diventando il caos del mercato di Tebe quando il Ciclope in Hercules fa irruzione in città.
E come in ogni ring che si rispetti, ci sono le gimmick: delle interpretazioni di archetipi creati a tavolino per intrattenere il pubblico, dei personaggi in grado di polarizzare l’attenzione con quel mood tipicamente “partigiano” e dello schierarsi a tutti i costi che è tipicamente italiano.
Il gramsciano “odio gli indifferenti” ha creato generazioni di tifosi che purtuttavia non hanno, soprattutto in Rete dove le dinamiche sono fumose, gli anticorpi per valutare quando la lotta è simulata o quantomeno più si alimentano i flame e più ci si scalda al calore dell’engagement generato.
La cosa davvero spettacolare è che si tratta di una calorifera a like coibentata, in cui si radicalizzano i due schieramenti e dove non perde mai nessuno ma ognuno dei contendenti aumenta la propria audience all’interno del target di riferimento: che siano utenti bisognosi di un guru quanto addetti ai lavori indignati.
Nessuno ha ragione in forma assoluta perché l’avversario ha sempre torto.
A nulla vale ricordare, nel caso della stilosa professoressa, che se viene invitata a parlare all’università dipende dall’aver creato un’azienda milionaria.
Interessante anche notare come quel fatturato viene criticato da chi certe cifre non le vedrà manco vincendo ai gratta e vinci con i quali sperpera il proprio magro salario.
Frecciate a parte, lascio la parola agli esperti veri, come Gian Marco Cattini e Pierluigi Vitale, con le loro analisi dei due fenomeni molto più tecniche e ragionate della mia.
Cosa ne pensa Gian Marco Cattini
Partiamo da un presupposto, come per l’amore anche l’odio muove il mondo, soprattutto quello digitale. Non so se vi capita di fare un giro per i canali YouTube, ma non la sunset strip dei blasonati, parlo dei canali con pochi iscritti e poche centinaia di visualizzazioni, bene quei canali alle volte hanno un mucchio di commenti rancorosi e spesso spammosi. Perché questo?
Perché i canali più piccoli attaccano quelli più grandi di modo da riversare verso se stessi le ire dei fan di modo che il proprio video e di conseguenza il proprio nome e canale possa salire velocemente alla cronaca come canale popolare. Questo è il caso di YouTube fa cagare, un canale che in poche settimane ho ottenuto un boom di iscritti dell’oltre 300% rispetto alla media di crescita di ogni altro canale.
Ormai la nuova generazione dei nativi digitali ha capito che ci sono due modi per rendersi visibili a questo mondo, il primo e anche il più classico, è quello di farsi notare per le proprie doti, ma ammettiamo oramai il web ed i social sono intrisi di wannabe, alcuni di loro anche molto promettenti. Il secondo modo per farsi conoscere è diffondere malcontento, quel genere di critica che serve solo a sollevare un poco il polverone e far uscire dalle proprie tane i leoni da tastiera.
Il gioco è molto semplice, prendi qualcosa che è acclamato e cerca di criticarlo nella maniera più diretta possibile facendo in modo che i suoi utenti oppure il soggetto della critica venga a sapere delle tue rimostranze, se ti va bene avrai orde di fan con fiaccole in mano pronti a chiedere la tua testa.
Ma immagina che invece di essere un elemento casuale, ci sia una precisa strategia, dove sia l’accusato che l’accusatore siano perfettamente a conoscenza, anzi siano d’accordo, sul generare critiche: cosa potrebbe succedere?
Questa è la domanda che ogni professionista che lavora nella comunicazione si pone ogni volta che si trova davanti ad un caso noto lite tra webstar. Immaginiamo che per una serie di motivi sia a te parte criticante, che alla parte del criticatore serva raggiungere un volume di rumore (like, commenti e condivisioni) che superi la soglia del normale andamento della comunicazione, come faresti?
La soluzione più veloce e pratica è quella di generare attrito sin che le due forze in gioco inevitabilmente si scontrino e come dice la fisica in questi casi i due corpi sprigioneranno il doppio della potenza appena avverrà il contatto.
Così succede nel web, alcune volte queste “discussioni” altro non sono che un piano preciso per attirare l’attenzione e superare il rumore di sottofondo delle comunicazioni quotidiane.
Per farla ancora più semplice alcune volte criticare è più veloce e pratico che convincere.
Quindi la prossima volta che vedrete una discussione particolarmente animata sul web chiediti sempre, sarà spontanea oppure servirà come trampolino per i due contendenti?
Cosa ne pensa Pierluigi Vitale
Da un po’ di tempo mi capita di notare bizzarri parallelismi tra il Web Marketing e il Rap in italia.
Una delle dinamiche che sembra consolidarsi sempre più, e sempre peggio, è forse quella del dissing.
Quest’ultimo termine è balzato recentemente agli onori della cronaca in virtù delle scaramucce tra Fedez e Marracash. Una magra figura su tutti i fronti, ma per due ragioni in particolare:
- Non era un dissing.
- Facevano ridere.
Sottolineo il punto 1 perché solitamente come dissing si intende un attacco frontale tra due (o più soggetti) in musica, sottolineo, in musica. Ecco, recentemente stiamo assistendo a colpi di fioretto più o meno ben assestati, tra importanti professionisti che non se le mandano a dire più o meno direttamente, mettendo in scena un teatrino, onestamente, poco qualificante.
Sia chiaro, da conoscitore ed estimatore della cultura hip hop, nonché da ascoltatore di rap, lungi da me connotare negativamente a priori questo parallelismo.
Insomma, a me il rap solitamente piace, ma come tutte le cose può essere fatto male e nel caso specifico siamo di fronte a una casistica di queste.
Mi torna calzante la metafora del dissing perché a mio avviso rappresenta un format espressivo ricco di opportunità, che non necessariamente deve scadere nel teatrino tra le fazioni.
Anche perché quanto è assurdo che esistano fazioni in una professione? Forse lo è ancor di più di quanto lo sia che esistano nell’arte.
La storia dei dissing, prescindendo dalle recenti tirate di capelli tutte italiane, vede negli Stati Uniti l’occasione con cui molti rapper hanno lasciato un segno tangibile.
“Hit Em Up”, di Tupac, è uno dei classici della musica rap ed è stato apripista di una delle più importanti divisioni del rap americano (anche con risvolti tragici) che ha dato gran vigore al movimento, rappresentando forse inconsapevolmente uno dei più importanti input al dirompere del genere.
Ice Cube nel 1991 con “No Vaseline” segnava un taglio netto con il gruppo che l’aveva reso celebre, per inconciliabili questioni economiche e non solo. Questo passaggio ha rappresentato l’inizio di una brillante carriera e probabilmente l’inizio della fine della N.W.A, che apriva le porte a una nuova carriera indipendente di un tale Dr Dre.
E vi assicuro che se le suonavano di santa ragione, verbalmente e non.
Con questo non intendo che i marketer debbano prendersi a “mamme e sorelle” ma che da confronti anche accesi si può produrre valore aggiunto, ad esempio provando a dimostrare con concretezza le proprie tesi, senza necessariamente osteggiare quelle degli altri, mettendo in campo risultati concreti e cogliendo l’occasione di un grande eco mediatico (seppur circoscritto agli interessati del “genere”) per rinnovare, per essere propositivi, per catalizzare l’attenzione più o meno volontariamente destata con qualcosa che aggiunga e non sottragga credibilità prima alle persone stesse e poi a un mestiere che rischia di diventare sempre più un giochino nelle mani di sprovveduti.
Peccato si tratti di un giochino con il quale si possono fare anche diversi danni…
Un giochino che, ad esempio, Chiara Ferragni ha dimostrato di saper fare benino.
Ecco, forse se il 90% di coloro che hanno criticato la possibilità che ha avuto di andare a raccontare adHarvard la sua esperienza avessero saputo giocare bene quanto lei, avremmo più persone coi denti d’oro e meno col dente avvelenato.
Sii Tupac, non Fedez. Yo!
E tu cosa ne pensi delle recenti diatribe nel Web italiano?