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7 graphic designer da evitare -a tutti i costi-

Quando ci si affida a un graphic designer, lo si fa con la speranza che trasformi un’idea in un progetto visivamente accattivante, funzionale e coerente. Ma non tutti i designer sono uguali: alcuni possono, con comportamenti o mancanze di competenze, compromettere l’intero lavoro. In questo articolo esploreremo sette profili professionali che, per il bene dei tuoi progetti (e della tua salute mentale), sarebbe meglio evitare.

1. Il “mago dell’ultimo minuto”

Questo designer vive nella convinzione che ogni lavoro grafico si possa completare in pochi minuti. Ignora il valore della pianificazione, dei briefing dettagliati, delle revisioni e dei tempi tecnici. Accetta incarichi con scadenze impossibili, produce lavori frettolosi e superficiali e contribuisce a creare tensione e insoddisfazione. Un progetto ben fatto necessita di tempo, analisi e riflessione: chi lo sottovaluta, mette a rischio qualità e reputazione.

Il problema si aggrava quando questa figura minimizza l’importanza delle modifiche richieste dal cliente, le considera fastidiose o inutili, e tende a consegnare lavori approssimativi, con la scusa della rapidità. Collaborare con chi non conosce il valore del processo porta inevitabilmente a una spirale di revisioni, conflitti e risultati mediocri.

2. Il “plagiatore seriale”

Cerca immagini su Google, scarica file da siti non verificati e ignora completamente i diritti d’autore. Questo tipo di designer non comprende l’importanza dell’originalità e delle licenze commerciali. Le conseguenze? Rischi legali, perdita di credibilità e danni d’immagine. Collaborare con chi non distingue l’ispirazione dalla copia pura è un pericolo concreto.

Il plagiatore spesso non ha un’identità visiva propria: lavora copiando ciò che funziona altrove, ignorando il contesto e le esigenze specifiche del cliente. Il risultato è un design sterile, che non parla del brand e che può risultare riconoscibile come copia.

3. Il “nemico del font”

C’è chi non sa scegliere i caratteri giusti e chi, peggio, insisterà nell’usare font datati, inadatti o semplicemente sconsigliati dalla comunità professionale. L’utilizzo di caratteri come Comic Sans o Papyrus è emblematico: se un designer non comprende l’importanza della tipografia, compromette l’identità visiva di un marchio o di una comunicazione.

Un uso scorretto della tipografia trasmette un messaggio sbagliato. Ogni carattere ha un tono visivo, un significato implicito. Usare il font sbagliato equivale a scegliere il tono sbagliato in un discorso: disturba, confonde, allontana il pubblico. Il “nemico del font” dimostra una lacuna di base nella formazione e nella sensibilità visiva.

4. Il “low-cost a tutti i costi”

Questa figura accetta ogni incarico a tariffe irrisorie, magari nella speranza di “fare portfolio”. Il problema? Sottovaluta il valore del proprio tempo e delle proprie competenze, danneggiando sia se stesso che l’intero settore. Chi accetta lavori non retribuiti o sottopagati rischia di produrre materiale scadente, senza la cura e l’attenzione necessarie.

Inoltre, spesso chi lavora a basso costo lavora anche in fretta e senza un processo professionale: niente briefing, niente ricerca, niente test. Solo esecuzione meccanica. Chi ingaggia designer di questo tipo si illude di risparmiare, ma alla lunga spenderà di più per correggere gli errori.

5. Il “nullafacente creativo”

Molti lo confondono con il creativo ribelle. In realtà, è un professionista che evita pianificazione, ignora le scadenze, non chiarisce tempi e costi, e lascia tutto al caso. I progetti si dilatano, si perdono nel caos, mancano di coerenza e finiscono per essere abbandonati. La creatività non basta: serve metodo.

Un buon designer deve saper coniugare ispirazione e disciplina. Il “nullafacente creativo” è spesso dispersivo, non prende decisioni e ha bisogno costante di essere guidato. Un progetto non può dipendere dall’umore o dal flusso creativo del momento: serve responsabilità.

6. Il “copia-incolla”

Non propone idee nuove, ma replica stili e layout visti altrove, magari su lavori di concorrenti. Questo atteggiamento svilisce il progetto e lo priva di identità. Il design deve risolvere problemi e comunicare in modo originale: chi si limita a copiare non aggiunge alcun valore.

Un designer professionista studia, interpreta e traduce visivamente i valori e gli obiettivi del cliente. Il “copia-incolla” non fa altro che incollare schemi preconfezionati, senza alcun legame con il contesto. Questo tipo di approccio è non solo inefficace, ma anche potenzialmente dannoso per la brand identity.

7. Il “comunicatore assente”

Quando manca il dialogo, il lavoro fallisce. Questo designer non risponde, è vago nei feedback, ignora briefing e specifiche. Chi lavora senza comunicare chiaramente confonde i clienti, ritarda le consegne e causa incomprensioni. Il rapporto professionale si basa su collaborazione e confronto continuo.

Un designer affidabile è presente, ascolta, propone e chiarisce ogni passaggio. Il “comunicatore assente” invece è sfuggente, non rispetta i canali formali e tende a creare distanza. Spesso non rispetta nemmeno il ciclo di approvazione del cliente, generando frustrazione.

Cosa non dire a un grafico: le frasi da evitare

La relazione con un designer richiede rispetto reciproco. Alcune frasi, seppur dette con leggerezza, possono risultare offensive o sottovalutare il lavoro creativo. Ecco le più dannose:

  • “Ci metti cinque minuti, vero?”
  • “Prendiamole da internet, tanto si trovano ovunque.”
  • “Usa Comic Sans, mi piace.”
  • “Puoi farlo gratis? Ti farà curriculum.”
  • “Fai tu, basta che sia d’impatto.”
  • “Tanto va bene anche in bassa risoluzione.”
  • “Conosco uno che lo fa per dieci euro.”

Ognuna di queste frasi nasconde un pregiudizio: che il design sia un’arte decorativa, e non un lavoro strategico. Educare il cliente a comprendere il valore della progettazione visiva è una responsabilità condivisa, ma deve partire da una comunicazione consapevole.

I principi del graphic design: fondamenta da conoscere

Il graphic design è governato da principi che orientano il lavoro di ogni professionista. Sebbene le classificazioni possano variare, alcuni concetti ricorrono sempre:

  • Equilibrio: distribuzione armonica degli elementi
  • Contrasto: evidenziare le differenze per creare dinamismo
  • Gerarchia visiva: guidare l’occhio nei contenuti
  • Allineamento: dare struttura e ordine
  • Ripetizione: rafforzare coerenza visiva
  • Spazio bianco: dare respiro e pulizia al layout
  • Enfasi: attirare l’attenzione su ciò che conta
  • Proporzione: rapporto armonico tra gli elementi

Esistono versioni che includono anche ritmo, movimento, varietà, unità, griglie e modularità. Conoscere e applicare questi principi permette di affrontare progetti complessi con coerenza e creatività. L’ignoranza di queste regole porta a disordine visivo, messaggi confusi e scarsa efficacia comunicativa.

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Dove guadagna di più un graphic designer?

In Italia, le retribuzioni variano in base all’esperienza e alla localizzazione:

  • Entry level: 25.000–26.500 euro lordi l’anno
  • Mid-level: 30.000–35.000 euro
  • Senior o Art Director: fino a 50.000 euro o più

Le città dove si guadagna meglio sono Milano, Roma, Torino e Bologna. Al Sud e nelle isole i compensi tendono a essere inferiori. Tuttavia, freelance affermati o specializzati in settori di nicchia possono superare ampiamente queste cifre.

All’estero, soprattutto negli Stati Uniti, le cifre sono più elevate. Un designer senior può arrivare a guadagnare tra i 100.000 e i 200.000 dollari annui. In paesi come Germania, Regno Unito, Svizzera o Canada, le opportunità economiche sono in forte crescita.

Come deve essere un graphic designer?

Oltre a competenze tecniche (uso di software, conoscenze tipografiche, gestione del colore), un buon designer è una figura completa che unisce creatività e metodo. Le caratteristiche chiave:

  • Capacità concettuali: saper generare idee coerenti con la strategia di comunicazione
  • Competenze organizzative: rispetto delle scadenze, chiarezza nei processi, gestione dei progetti
  • Soft skills: ascolto, empatia, collaborazione
  • Etica professionale: rispetto delle fonti, inclusività, trasparenza

Deve inoltre saper raccontare il proprio lavoro, spiegare le scelte progettuali e costruire un rapporto fiduciario con il cliente. Un bravo designer non lavora da solo in una torre d’avorio: sa relazionarsi, aggiornarsi, confrontarsi con il mercato e crescere costantemente.

I profili tossici da evitare in team

Nel contesto lavorativo, è importante anche circondarsi di colleghi positivi. Tra i profili da evitare ci sono:

  • Il creativo bloccato: ostacola le idee altrui, si chiude nella negatività
  • L’egocentrico: soffoca i contributi degli altri, non ammette errori
  • La vittima: si lamenta costantemente, scarica le colpe
  • Il maniaco del controllo: impone il suo punto di vista, limita l’autonomia creativa
  • L’invidioso: sminuisce i successi altrui, diffonde negatività
  • Il bugiardo: non mantiene promesse, crea sfiducia
  • Il pigro: trascina il gruppo, non rispetta le scadenze

Queste figure creano ambienti di lavoro tossici, impediscono il confronto costruttivo e rallentano la crescita del team. Un ambiente sano, invece, favorisce l’innovazione, la produttività e il benessere.

Essere un graphic designer oggi significa affrontare un mercato competitivo, ma anche pieno di opportunità. La scelta delle persone con cui lavorare fa la differenza tra una carriera sana e gratificante e una piena di ostacoli. Imparare a riconoscere le figure tossiche è il primo passo per costruire un ambiente professionale solido, produttivo e stimolante.

La professionalità non si misura solo dal portfolio, ma anche dalla capacità di relazionarsi, di rispettare le regole del gioco e di contribuire alla crescita altrui. Evitare i profili descritti in questo articolo è una forma di autodifesa e di cura per la qualità del proprio lavoro.

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